Visita didattica per le scuole. Museo della Civiltà Romana - Approfondimenti: Le campagne militari: la Colonna di Traiano e il racconto della Guerra contro i Daci

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01/01 - 09/06/2012
Museo della Civiltà Romana

Visita didattica per le scuole

Museo della Civiltà Romana
 Approfondimenti
 Le campagne militari: la Colonna di Traiano e il racconto della Guerra contro i Daci
 La conquista della Dacia da parte dell'Impero romano si realizzò negli anni compresi tra il 101 ed il 106, attraverso lo scontro tra l'esercito romano, guidato dall'imperatore Traiano, e i Daci del re Decebalo. L'esito finale della guerra fu la sottomissione della Dacia, l'annessione all'Impero romano e la sua trasformazione in provincia.
 La guerra conobbe essenzialmente due fasi: nella prima, l'imperatore Traiano, che voleva vendicare le sconfitte subite un quindicennio prima, sotto l'imperatore Domiziano, compì un'avanzata nel territorio dei Daci a scopo intimidatorio, forse anche con l'obiettivo di rendersi conto delle eventuali difficoltà in caso di conquista; nella seconda fase, il venir meno da parte del re dei Daci agli accordi siglati solo un paio d'anni prima, costrinse Traiano ad occupare la Dacia in modo permanente, inglobandola nel già vasto Impero romano.
 Questa annessione, però, generò negli anni un problema strategico di non facile soluzione. L'essere stata costretta, Roma, a costituire un "saliente" oltre il Danubio, difficilmente difendibile in quell'enorme e mutevole "mare di barbari" (tra Germani e Sarmati), rese necessario il dispiegamento nell'area di mezzi militari crescenti (fino a 50 000 armati) con il conseguente lievitare degli esborsi finanziari.
 L'occupazione delle montagne della Dacia, come dimostrarono gli eventi al termine della difficile conquista, avrebbe tenuto a bada le popolazioni di tutto il bacino carpatico, consentendo un tranquillo sviluppo del retroterra della Tracia e della Mesia, anche se non sembra fosse questo il reale obbiettivo di Traiano all'inizio della prima expeditio dacica. Egli, inizialmente, riteneva doveroso punire con una guerra il re dei Daci, Decebalo, responsabile dei disastrosi risultati riportati dalle campagne daciche di Domiziano, nell'85 e nell'86.

Prima Campagna (101-102 d.C.)
 Il 25 marzo 101, Traiano in persona lasciò l'Italia, per dirigersi verso la provincia di Mesia superiore. Conosciamo il piano strategico generale della prima campagna dalle parole di Traiano stesso: Inde Berzobim, deinde Aizi processimus. Queste due località si trovavano lungo la più occidentale fra le strade che si dirigevano in Dacia; essa, partendo da Lederata sul Danubio in prossimità di Viminacium, portava a Tibiscum e da lì, con un breve percorso, a Tapae ed al passo delle cosiddette Porte di ferro (presso l'attuale località di Otelu Rost), per entrare poi nella Dacia vera e propria. Questa strada era già stata utilizzata da Tettio Giuliano nella campagna dell'88.

Ancor oggi è incerto se Traiano fosse stato affiancato da una seconda colonna, che da Dierna avrebbe attraversato il passo noto come Chiavi di Teregova per riunirsi con la prima colonna a Tibiscum. L'ipotesi è stata formulata dopo un'attenta analisi della Colonna Traiana dove, nelle scene 4 e 5, sono raffigurati due ponti di barche paralleli sul Danubio, uno attraversato dai legionari e l'altro dai pretoriani. I due ponti costituirebbero un mezzo espressivo naturale mediante il quale lo scultore avrebbe voluto indicare il passaggio simultaneo di un esercito diviso in due differenti "colonne di marcia". L'uso di "colonne" separate serviva evidentemente a dividere le forze nemiche nei punti strategici, con una manovra tattica di aggiramento che sarà peraltro utilizzata da Traiano anche nel corso della campagna partica del 115, con un'avanzata simultanea lungo il Tigri e l'Eufrate. In questo caso sarebbe da attribuirsi a quest'anno o all'anno precedente, la costruzione di un'opera idraulica che deviava il corso del Danubio attraverso un canale artificale, affiancato da una strada militare, lungo la stretta gola denominata "Porte di ferro".
 Attraversato il Danubio, forse su due diverse colonne, l'esercito romano avanzò senza incontrare grandi resistenze. Il nemico adottò infatti la tattica di ritirarsi verso l'interno, ripetendo quanto aveva già sperimentato con successo nell'86 contro Cornelio Fusco e l'esercito di Domiziano; la speranza era di costringere il nemico romano ad abbandonare le linee di comunicazione ed approvvigionamento, oltre ad isolarlo nel cuore delle montagne della Transilvania. Le sculture della Colonna, infatti, mostrano fortezze deserte, greggi distrutte, colline abbandonate, e qualche spia dacica in attesa delle future mosse dell'esercito romano. Durante la marcia di avvicinamento viene segnalato da Cassio Dione un solo attacco delle avanguardie del popolo germanico dei Buri, alleati dei Daci. Traiano, pur non avendo incontrato una seria resistenza, continuò a procedere verso l'interno con la massima cautela, preoccupandosi che la sua avanzata fosse al riparo da possibili imboscate, costruendo strade, ponti e forti lungo il suo cammino.
 Dopo aver raggiunto Tibiscum (moderna Timişoara), in apparenza senza aver sostenuto scontri importanti, vi si accampò in attesa di attaccare le fortezze daciche presso l'imboccatura delle Porte di ferro. Qui ingaggiò una feroce battaglia presso Tapae con il grosso dell'esercito dei Daci.

Lo scontro, come anche illustrato sulla Colonna, fu favorevole ai Romani ma a costo di un grande spargimento di sangue, pur non risultando decisivo ai fini della guerra giacché Decebalo poté attestarsi all'interno delle sue fortezze della zona di Orăştie, pronto a sbarrare l'accesso alla capitale Sarmizegetusa Regia. Qui i Romani svernarono, poiché la stagione ormai avanzata rendeva sconsigliabile attaccare questa linea fortificata durante l'inverno.
 Nell'inverno del 101/102, Decebalo, ormai bloccato ad occidente, decise di passare al contrattacco, mirando soprattutto ad aprire un secondo fronte per dividere così le forze dell'esercito romano. Come era già successo nell'85, il re dace scelse di assalire la Mesia Inferiore, insieme agli alleati Sarmati, Roxolani (anch'essi rappresentati sulla Colonna), il cui re era un certo Susago. Le due armate passarono il fiume ma, pur riportando qualche successo iniziale, vennero tenute a bada dall'allora governatore, e abile generale, Manio Laberio Massimo, il quale riuscì anche a catturare la sorella del re dei Daci, come ben illustra la Colonna. Solo con l'arrivo dei rinforzi, capeggiati dallo stesso imperatore Traiano (rappresentato sulla Colonna nell'atto di raggiungere il fronte mesico su imbarcazioni della Classis moesica), le forze dei Daci e dei Roxolani furono fermate, e anzi subirono una pesante sconfitta, forse separatamente: i Daci in una località forse posta in relazione con il grande trofeo, eretto nel 107/108 ad Adamclisi nella Dobrugia; i Roxolani presso la futura città di Nicopolis ad Istrum, fondata successivamente da Traiano per onorarne la vittoria. Traiano, infatti, memore dell'azione analoga avvenuta oltre quindici anni prima durante le campagne daciche di Domiziano, si era ben preparato a una simile mossa strategica da parte dei Daci. L'offensiva di Traiano riprese nel mese di marzo; questa volta, l'avanzata prese avvio da più fronti.
 La prima "colonna", attraversato il Danubio forse nei pressi di Oescus, proseguì lungo la valle dell'Aluta fino a raggiungere il passo sufficientemente ampio ed accessibile della Torre Rossa. L'avanzata delle altre due colonne avvenne in parallelo, probabilmente lungo le stesse direttrici seguite l'anno precedente (ossia attraverso le "Porte di ferro" e il passo delle Chiavi di Teregova). Il punto di ricongiungimento finale delle tre armate è individuato a una ventina di chilometri a nord-ovest di Sarmizegetusa Regia.
 Decebalo, scosso dalla seconda sconfitta subita e soprattutto dall'avanzata contemporanea lungo tre fronti in una "manovra a tenaglia", inviò all'imperatore romano due ambascerie, ognuna con una richiesta dipace. Traiano si rifiutò di ascoltare la prima, ma decise di ricevere la seconda, composta
 da numerosi nobili daci; in seguito all'incontro, il capo dello stato maggiore dell'imperatore, Licinio Sura, fu inviato insieme al prefetto del pretorio, Tiberio Claudio Liviano, per discutere i termini del possibile trattato di pace. Le condizioni offerte dai Romani, che miravano alla resa incondizionata di Decebalo, furono tuttavia durissime, tanto più se si considera che i Daci non avevano subito ancora sconfitte irreparabili. La guerra, pertanto, continuò.
 Traiano, che nel frattempo aveva proseguito la sua avanzata, era riuscito a recuperare armi, ingegneri romani fatti prigionieri dai Daci ed un vessillo della sfortunata campagna condotta da Cornelio Fusco nell'86, probabilmente appartenuto ad una coorte pretoriana. Passato il valico della Torre Rossa prima che questo potesse essere bloccato dall'esercito nemico, i romani si disposero al centro dell'arco dei Carpazi, con l'obiettivo principale di conquistare la capitale dei Daci collocata più a ovest. Traiano divise quindi l'esercito in almeno tre colonne, attraverso le quali cominciò ad assediare le fortezze dacie dei monti Orăştie.
 È noto con certezza che una di queste colonne, guidata da Lusio Quieto, annoverava tra le sue file cavalieri mauretani, forse individuabili in alcune tavole della Colonna. Le cittadelle daciche, come quella di Costeşti, caddero una dopo l'altra fino a quando anche l'ultima, presso l'attuale Muncel, fu distrutta sotto i colpi delle armate romane, mentre l'esercito dacico accorso, fu pesantemente sconfitto. La strada per Sarmizegetusa Regia era ora da considerarsi aperta e la guerra ormai vinta. Decebalo, per risparmiare alla capitale gli orrori di un inutile assedio, capitolò. Questa scena è ben raffigurata anche sulla Colonna: gli ambasciatori inviati dal re dace, una volta entrati nel campo militare di Traiano (collocato forse presso la città di Aquae), si prostrano ai piedi dell'imperatore romano implorando la cessazione delle ostilità.
 Le condizioni di pace imposte da Traiano furono estremamente dure e penalizzanti per il re dace. Decebalo dovette infatti:
 • accettare l'insediamento di guarnigioni romane sia nei pressi di Sarmizegetusa Regia, sia a Berzobis;
 • consegnare tutte le armi e le macchine da guerra;
 • restituire tutti gli ingegneri ed i disertori dell'esercito romano;
 • distruggere le mura delle fortezze della zona di Orăştie;
 • cedere alcuni territori all'Impero romano (annessi alle limitrofe province di Mesia Superior ed Inferior), come il Banato orientale, l'Oltenia, la depressione di Haţeg in Transilvania (dove contingenti di veterani furono posizionati fino ad Apulum) e parte della pianura valacca della Muntenia (con la creazione di nuovi forti a Buridava e Piroboridava);
 • rinunciare ad una politica estera autonoma da Roma, accettando ancora una volta lo status di rex socius populi romani.
 Un'ambasceria dacica fu inviata a Roma per formalizzare la ratifica del trattato di pace da parte del Senato, così da consentire allo stesso Traiano, all'inizio dell'inverno del 102, di lasciare il quartier generale posto vicino a Sarmizegetusa Regia per tornare a Roma. Qui ottenne il meritato trionfo ed assunse il titolo di Dacicus dalla fine di quello stesso dicembre, mentre le monete allora coniate celebrano la Dacia victa. In seguito a questi eventi, l'intero corso del Danubio fu riorganizzato militarmente, e la vicina provincia di Pannonia fu divisa in Superior ed Inferior.

Seconda campagna (105-106)
 Gli accordi stabiliti nel 102 non furono però rispettati dai Daci. Decebalo, infatti, non solo riarmò l'esercito e ricostruì le vecchie fortezze attorno alla capitale, ma cercò nuove alleanze con i Parti di Pacoro II, attaccò gli Iazigi, alleati dei Romani, impossessandosi di alcuni loro territori (come parte del Banato) e soppresse alcuni nobili Daci filoromani. Di fronte a quelle che interpretò come provocazioni, nel giugno del 105 Traiano partì nuovamente per la Dacia. Questa sua nuova marcia verso il Danubio è rappresentata sulla colonna in modo assai dettagliato: sembra che Traiano abbia attraversato l'Adriatico da Ancona a Iader, per poi proseguire via terra fino a Naissus ed a Ratiaria. Tuttavia il suo itinerario rimane incerto.
 Nel frattempo Decebalo non era rimasto inattivo, tanto che Traiano, giunto sulle rive del Danubio, si trovò a dover affrontare una situazione difficile. La ripresa delle attività militari daciche aveva messo in ginocchio la provincia di Mesia inferiore: Decebalo era riuscito con l'inganno a fare prigioniero nel 104 uno dei massimi comandanti romani (lasciato a governare i nuovi territori appena occupati), il consolare Longino (identificabile con Cneo Pinario Emilio Cicatricula Pompeo Longino), la cui cattura ed il cui suicidio sono narrati da Dione ed aveva anche tentato di far assassinare lo stesso Traiano da alcuni disertori.
 Numerose postazioni fortificate romane in Valacchia erano state occupate o poste sotto assedio dai Daci, come pure quelle lungo il Danubio.

L'opera di riconquista portò l'imperatore a spendere l'intera estate del 105, tanto da impedirgli di avviare una nuova campagna di invasione in territorio dace prima dell'anno successivo. Nella Colonna sono evidenziate molto bene alcune fasi di quei mesi di guerra:
 • l'imperatore, alla testa dei suoi pretoriani, giunto dopo un lungo viaggio da Roma, raggiunge il fronte in un territorio che sembra appartenere a genti daco-getiche, e viene da queste stesse popolazioni acclamato;
 • Traiano, in una città della medesima regione, offre un sacrificio propiziatorio in vista della nuova campagna da compiere, di fronte ad una folla mista di Romani e Daci (o Geti);
 • Un gruppo di soldati, deposte le armi, comincia ad abbattere alberi e a costruire una strada verso una città fortificata all'interno della foresta (forse dalla Dacia, in Oltenia);
 • Decebalo, all'interno di una fortezza, partecipa ad un consiglio di guerra con alcuni nobili daci, mentre altri dignitari si radunano da più parti, come lasciano intendere la pianura e le montagne raffigurate sullo sfondo);
 • Alcune postazioni romane sono attaccate, ma sembrano resistere all'impeto dei Daci, i quali attaccano successivamente anche una triplice linea di difesa che potrebbe essere identificata con il limes della Dobrugia, costruito da Domiziano durante la sua prima campagna dacica (tra l'85 e l'89), e potenziato da Traiano forse nel periodo 103-104.
 • Traiano in persona, raggiunto il fronte della battaglia (probabilmente in Dobrugia), soccorre il governatore della Mesia inferiore, Lucio Fabio Giusto, e respinge i Daci. Si tratterebbe evidentemente dell'ultima scena della campagna del 105.
 La rottura della pace, avvenuta a soli due o tre anni dalla sua conclusione, non lasciava alternative a Traiano: era necessaria la conquista dell'intera regione. Vennero riunite forze militari ancora più ingenti di quelle impiegate nella prima campagna e, attraversato il grande ponte sul Danubio che Apollodoro, durante il breve periodo di pace, aveva appena terminato a Drobetae, Traiano diede inizio alla sua ultima campagna dacica.
 Gli alleati di Decebalo - Buri, Roxolani e Bastarni - alla notizia dei preparativi dell'ultima grande invasione da parte di Traiano abbandonarono il re dace. Dopo numerosi fallimentari tentativi di riconciliarsi con l'imperatore (o di avvelenarlo, come era stato tentato appena l'anno precedente), il re ribelle si trovò a dover capitolare per la seconda volta. Traiano, prima dello scontro finale, avrebbe convocato presso il suo quartier generale sul Danubio, probabilmente a Drobetae, numerosi capi delle popolazioni "amiche ed alleate del popolo romano" - Quadi, Marcomanni, alcune tribù dei Daco-geti e forse gli stessi Iazigi - al fine di ottenere aiuti militari ed appoggio strategico prima di iniziare l'ultima campagna, sincerandosi così della loro fedeltà.
 Il re dace, attaccato da due fronti come rappresentato anche sulla Colonna (forse dal versante delle "Porte di ferro" e da quello del passo della Torre Rossa), oppose una resistenza così disperata che i Romani lasciarono sul campo numerosi morti e feriti, vittime della feroce combattività dei Daci. Alla fine, dopo un lungo e sanguinoso assedio, anche Sarmizegetusa Regia capitolò sotto i colpi degli eserciti romani riunitisi verso la fine dell'estate di quell'anno. Le fasi salienti di questo assedio sono rappresentate anch'esse sulla Colonna di Traiano, nella quale viene raffigurato anche il suicidio finale che i capi daci si inflissero per evitare di essere fatti prigionieri dai Romani. Caddero infine, una dopo l'altra, tutte le rocche fortificate della zona di Orăştie.
 Traiano era deciso a non concedere più condizioni di pace analoghe alle precedenti. Era necessaria la sottomissione definitiva della Dacia, e per ottenerla era necessario costruire strade e forti in modo da isolare il nemico e non concedergli più alcun vantaggio. L'avanzata, pur procedendo in modo lento, risultò alla fine inesorabile ed immune dai continui attacchi del nemico, una circostanza anche questa illustrata sulla Colonna. Decebalo cercò rifugio al nord, sui monti Carpazi, ma una colonna romana lo inseguì lungo la valle del fiume Marisus, in una regione quasi inaccessibile. I capi daci del nord del Paese, pur consapevoli della loro fine imminente, si unirono al re in un disperato tentativo di ribaltare le sorti compromesse della guerra, riportando anche qualche successo. Ma la conclusione era ormai inevitabile: Decebalo fu raggiunto da un'unità ausiliaria dell'esercito romano in località Ranistroum (l'odierna Piatra Craivii, a nord dell'appena istituita colonia di veterani di Apulum) e, una volta circondato, come è ben rappresentato anche sulla Colonna di Traiano, si suicidò, preceduto e seguìto da molti dei capi del suo seguito.

La testa del re dei Daci fu portata a Traiano dal cavaliere che era riuscito nell'impresa di catturarlo, Tiberio Claudio Massimo. Era la fine della guerra. Per alcuni mesi l'esercito romano fu ancora impegnato in azioni repressive ma si trattò di sedare piccole sommosse locali. La monetazione di quell'anno poteva così celebrare la Dacia capta (occupata).

Conseguenze
 Il regno dacico cessò di esistere, a parte alcune zone rimaste libere lungo la pianura del Tibisco, del basso Marisus e del Crisul. Il cuore del vecchio regno di Decebalo fu trasformato, insieme all'Oltenia occidentale ed al Banato, nella nuova provincia di Dacia, con capitale la città di nuova fondazione di Colonia Ulpia Traiana Augusta Dacica Sarmizegetusa (probabilmente sul tracciato del vecchio campo militare di Traiano). Al contrario, buona parte della pianura della Valacchia (con l'installazione di alcuni forti di unità ausiliarie come a Piroboridava), della Muntenia e della Moldavia furono attribuite alla provincia di Mesia inferiore.
 Si narra che la conquista della Dacia fruttò a Traiano un enorme bottino, stimato in cinque milioni di libbre d'oro (pari a 226 800 kg) e nel doppio d'argento, ed una straordinaria quantità di altro bottino, oltre a mezzo milione di prigionieri di guerra con le loro armi. Si trattava del favoloso tesoro di Decebalo, che lo stesso re avrebbe nascosto nell'alveo di un piccolo fiume nei pressi della sua capitale, Sarmizegetusa Regia.
 Altre testimonianze degli onori e dei trionfi tributati in tutto l'impero a Traiano, l'optimus princeps, sono ancora oggi visibili, oltre che nella rappresentazione scultorea della guerra dacica sulla Colonna a Roma, anche negli archi di Benevento e di Ancona, nel Foro a lui dedicato, nel "grande fregio" a Roma o nel Tropaeum Traiani di Adamclisi del 107/108.
 La colonizzazione in massa della provincia con cittadini romani fatti giungere da gran parte delle province danubiane, permise all'impero di creare un saliente strategico all'interno del "mare barbarico" che si stendeva tra la piana ungherese del Tibisco ed i territori di Valacchia e Moldavia. Traiano era riuscito ad occupare questi ultimi territori ad est della Dacia che, però, alla sua morte furono abbandonati dal suo successore Adriano. Un errore strategico a cui non fu mai rimediato. Ciò avrebbe permesso di ridurre i confini imperiali, avanzando le unità militari sul basso Danubio fino al fiume Siret, con grande risparmio sulle economie militari dell'area.
 La permanenza romana in Dacia, sebbene storicamente limitata a meno di due secoli (la provincia sarebbe stata infatti completamente abbandonata nel 271), lasciò un'impronta duratura sull'area, tanto che la lingua romena che si sarebbe sviluppata nei secoli successivi è rimasta, nonostante l'isolamento entro una regione europea successivamente slavizzata o magiarizzata, una lingua neolatina. E, non da ultimo, il moderno Stato che occupa il territorio dell'antica provincia, si chiama, non a caso, Romania.
 La Colonna traiana è un monumento innalzato a Roma per celebrare la conquista della Dacia da parte dell'imperatore Traiano, rievocando tutti i momenti salienti della guerra. Si tratta della prima colonna coclide mai innalzata. Era collocata nel Foro di Traiano, in un ristretto cortile alle spalle della Basilica Ulpia fra due (presunte) biblioteche, dove un doppio loggiato ai lati ne facilitava la lettura. È possibile che una visione più ravvicinata si potesse avere salendo sulle terrazze di copertura della navata laterale della Basilica Ulpia o su quelle che probabilmente coprivano anche i portici antistanti le due biblioteche. Una lettura "abbreviata" era anche possibile senza la necessità di girare intorno al fusto della colonna per seguire l'intero racconto, seguendo le scene secondo un ordine verticale, dato che la loro sovrapposizione nelle diverse spire sembra seguire una logica coerente.
 La colonna coclide fu inaugurata nel 113, con un lungo fregio spiraliforme che si avvolge, dal basso verso l'alto, su tutto il fusto della colonna e descrive le guerre di Dacia (101-106), forse basandosi sui perduti Commentarii di Traiano e forse anche sull'esperienza diretta dell'artista. L'iscrizione dei Fasti ostiensi ci ha tramandato anche la data dell'inaugurazione, il 12 maggio. In alto si trovava una statua bronzea di Traiano.
 La colonna aveva una funzione pratica, testimoniata dall'iscrizione, cioè ricordare l'altezza della sella collinare prima dello sbancamento per la costruzione del Foro ed accogliere le ceneri dell'imperatore dopo la sua morte. Inoltre il fregio spiraliforme ricordava a tutti le imprese di Traiano celebrandolo come comandante militare.
 La Colonna rimase sempre in piedi anche dopo la rovina degli altri edifici del complesso traianeo e le fu sempre attribuita grande importanza: un documento del Senato medievale del 1162 ne stabiliva la proprietà pubblica e ne proibiva il danneggiamento.
 La colonna è del tipo "centenario", cioè alta 100 piedi romani (pari a 29,78 metri, 40,50 metri circa se si include l'alto piedistallo alla base e la statua alla sommità). La colonna è costituita da 19 colossali blocchi in marmo lunense, ciascuno dei quali pesa circa 40 tonnellate ed ha un diametro di 3,83 metri. Essi vanno a comporre i 18 rocchi, la base, il capitello e l'abaco.

Basamento e interno
 L'alto basamento è ornato su tre lati da cataste d'armi a bassissimo rilievo. Sul fronte verso la basilica Ulpia è presente un'epigrafe sorretta da vittorie, che commemora l'offerta della colonna da parte del senato e del popolo romano e inoltre testimonia come la colonna rappresentasse l'altezza della sella tra Campidoglio e Quirinale prima dei lavori di sbancamento operati da Traiano per la costruzione del Foro. Agli angoli del piedistallo sono disposte quattro aquile, che sorreggono una ghirlanda di alloro. Al di sotto dell'epigrafe si trova la porta che conduce alla cella interna al basamento, dove vennero collocate le ceneri di Traiano e dove comincia una scala a chiocciola di 185 scalini per raggiungere la sommità. La scala venne illuminata da 43 feritoie a intervalli regolari, aperte sul fregio ma non concepite all'epoca della costruzione. I 200 metri del fregio istoriato continuo si arrotolano a spirale intorno al fusto per 23 volte, come se fosse un rotolo di papiro o di stoffa, e recano circa 100-150 scene (a seconda di come si intervallano) animate da circa 2500 figure.
 Il rilievo è divisibile in 114 riquadri di larghezza uguale, dove sono illustrati gli avvenimenti della prima campagna del 101-102 (scene 1-57) e della seconda campagna dacica del 105-106 (scene 59-114), con al centro una figura allegorica di Vittoria tra trofei nell'atto di scrivere le Res gestae (scena 58).
 La narrazione è organizzata rigorosamente, con intenti cronistici. Seguendo la tradizione delle pittura trionfale vengono rappresentate non solo le scene "salienti" delle battaglie, ma esse erano intervallate dalle scene di marcia e trasferimenti di truppe (12 episodi) e da quelle di costruzione degli accampamenti e delle infrastrutture (ben 17 scene, rappresentate con estrema minuzia nei dettagli). In questa scansione degli eventi compaiono poi gli avvenimenti significativi dal punto di vista politico, come il consilium (scena 6), l'adlocutio (scene 11, 21, 33, 39, 52-53, 56, 77 e 100), la concessione degli ornamenta militaria, di legatio (ambascerie), di lustratio (sacrifici augurali), di proelium (battaglie o guerriglia), di obsidio, di ambascerie, di sottomissioni, di nemici catturati; a queste vanno aggiunte alcune scene più specificatamente propagandistiche, come le torture dei prigionieri romani da parte dei Daci (scena 33), il discorso di Decebalo (104), il suicidio dei capi daci col veleno (scene 104 e 108), la presentazione della testa di Decebalo a Traiano (109), l'asportazione del tesoro reale (103).
 Le scene sono ambientate in contesti ben caratterizzati, con rocce, alberi e costruzioni: per questo sembrano riferirsi ad episodi specifici ben presenti nella mente dell'artefice, piuttosto che a generiche rappresentazioni idealizzate.
 Non mancano notazioni più puramente temporali, come la mietitura del grano (scena 83) per alludere all'estate quando si svolsero gli avvenimenti della seconda campagna dell'ultima guerra: importante ruolo hanno tutti quei dettagli capaci di chiarire allo spettatore il momento e il luogo di ciascun avvenimento rappresentato, secondo uno schema il più chiaro e didascalico possibile.
 Completava il rilievo un'abbondantissima policromia, spesso più espressiva che naturalistica, probabilmente con nomi di luoghi e personaggi, oltre a varie armi in miniatura in bronzo messe qua e là in mano ai personaggi (spade e lance non sono infatti quasi mai scolpite).
 La figura di Traiano è raffigurata 59 volte e la sua presenza è spesso sottolineata dal convergere della scena e dello sguardo degli altri personaggi su di lui; è alla testa delle colonne in marcia, rappresentato di profilo e con il mantello gonfiato dal vento; sorveglia la costruzione degli accampamenti; sacrifica agli dei; parla ai soldati; li guida negli scontri; riceve la sottomissione dei barbari; assiste alle esecuzioni.
 Un ritmo incalzante, d'azione, collega fra loro le diverse immagini il cui vero protagonista è il valore, la virtus dell'esercito romano. Note drammatiche, patetiche, festose, solenni, dinamiche e cerimoniali s'alternano in una gamma variata di toni e raggiungono accenti di particolare intensità nella scena della tortura inflitta dalle donne dei Daci ai prigionieri romani dai nudi corpi vigorosi, nella presentazione a Traiano delle teste mozze dei Daci, nella fuga dei Sarmati dalle pesanti armature squamate, nel ricevimento degli ambasciatori barbari dai lunghi e fastosi costumi esotici, fino al grandioso respiro della scena di sottomissione dei Daci alla fine della prima campagna, tutta impostata sul contrasto fra le linee verticali e la calma solenne del gruppo di Traiano seduto, circondato dagli ufficiali con le insegne, e le linee oblique e la massa confusa dei Daci inginocchiati con gli scudi a terra e le braccia protese ad invocare la clemenza imperiale.

Informazioni

Luogo Museo della Civiltà Romana
Orario

da gennaio a giugno 2012

Informazioni

info e prenotazione obbligatoria allo 060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00

Giorni di chiusura
Lun
Tipo
Visita didattica
Organizzazione

Zètema Progetto Cultura

Prenotazione obbligatoria: Sì

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